Quest’anno, la nostra tradizionale gita primaverile, la cosiddetta “maggiolata”, l’abbiamo “giocata in casa” in quanto abbiamo visitato l’Azienda Agricola Torre Rosazza, di proprietà del Gruppo vitivinicolo Leone Alato, controllato dalla Genagricola (uno dei fiori all’occhiello del Gruppo Generali) che risulta essere la più grande società italiana nel settore primario.
L’azienda si trova in località Poggiobello, nel comune di Manzano in provincia di Udine e i suoi vigneti appartengono, sotto il profilo della qualità, a quella magica terra enologica denominata Colli Orientali del Friuli.
La tenuta comprende 100 ettari ed è vicinissima all’Abbazia di Rosazzo, luogo di sviluppo vinicolo nei secoli, il che significa che di vini e di metodi di produzione i nostri gestori se ne occupano da sempre.
La villa padronale era in origine una fortezza medioevale che dominava la valle sottostante. Trasformata nel 1550 in abitazione dalla famiglia nobile Antonini, è stata interamente ristrutturata ed è oggi l’edificio centrale della tenuta: una villa che svela nei particolari la sua storia secolare.
Ai piedi della villa si trova la cantina di Torre Rosazza, oggi vincolata dalle Belle Arti, come tutta la struttura che ha subìto numerose evoluzioni nei secoli, per essere dedicata totalmente alla produzione vitivinicola dagli anni 50 del secolo scorso. Da allora, l’innovazione tecnologica non si è mai fermata. I vigneti (in loco chiamati “ronchi”) sono sistemati a terrazze e circondano la villa creando un vero anfiteatro naturale.
Questa brevissima descrizione è un semplice sunto di ciò che, per tutta una mattinata, ci hanno spiegato con dovizia di particolari i responsabili della tenuta, Giancarlo Ballotta e Luigi Bressan che si sono alternati nell’accompagnarci nel corso della visita alla villa e alla cantina.
Non siamo qui per tessere le lodi a questi due nostri colleghi ma va sottolineato che la loro professionalità, unita all’amore per il proprio lavoro e all’appartenenza a quello che tutti noi chiamiamo “lo spirito del Leone di Trieste” ha fatto sì che una visita guidata ha assunto il sapore sia di una lezione di enologia che di una lezione di storia (quella con la Esse maiuscola).
Conclusa la visita, Giancarlo e Luigi ci hanno accompagnato a pranzo presso la trattoria “Al Viandante Alpino” nella vicina località di Manzano, dove le varie portate sono state accompagnate dai “nostri” vini, opportunamente illustrati dai due colleghi.
Dopo il pranzo, salutati coloro che ci hanno accolto in maniera così indimenticabile, abbiamo iniziato la seconda parte di questa memorabile giornata, che ci ha portato al Santuario della Beata Vergine di Castelmonte, a 618 metri s.l.m., a ridosso delle Alpi Giulie e a 7 chilometri da Cividale del Friuli.
Le sue origini si collocano nel cristianesimo primitivo. Secondo una tradizione attendibile, il luogo dove sorge il Santuario era sede di una guarnigione romana a difesa della città di Forum Julii (oggi Cividale del Friuli) dalle invasioni barbariche iniziate nel V secolo. Si suppone che, allora, il luogo sacro consistesse in un piccolo sacello scavato nella roccia e dedicato alla Madonna e a San Michele Arcangelo e andò poi ampliandosi fino a divenire un borgo fortificato che circondava la cappella. Il primo documento scritto che cita la chiesa risale al 1175 mentre documenti datati 1244 attestano che Castelmonte era già ritenuta all’epoca una delle località più importanti del Patriarcato di Aquileia. Nel 1469 il santuario fu distrutto da un incendio scoppiato a causa di un fulmine che colpì il campanile. In quell’occasione bruciò anche la statua lignea della Madonna. Il tempio fu ricostruito nel 1479 e all’interno fu posata una nuova statua, in pietra, raffigurante la Madonna Nera con bambino che, ancora oggi, adorna l’altar maggiore. Successivamente il Santuario fu semidistrutto dai terremoti del 1511 e 1513, ma venne prontamente riedificato ed ampliato. Nel XVI secolo la zona venne strutturata a cittadella fortificata con l’erezione di possenti mura e torri. Nel 1748 il Santuario venne incorporato a tutti i privilegi concessi alla basilica di Santa Maria Maggiore in Roma e nel 1913 fu affidato in custodia ai padri francescani cappuccini. Il Santuario fu rimaneggiato un’ultima volta nel 1930 e ospita oggi numerosi ex voto, segno di una devozione popolare sempre alta.
A raccontarci questa storia è stato Fra’ Silvano, che ci ha accolto in una delle sale sottostanti al Santuario. Personaggio simpatico e gioviale, ci ha raccontato della sua missione che l’ha visto soggiornare per un certo periodo anche a Trieste.
Salutato Fra’ Silvano, dopo la rituale foto di gruppo, ci siamo imbarcati sul nostro pullman e siamo rientrati a Trieste con la soddisfazione di aver trascorso, come in tutte le nostre iniziative, una giornata che ha visto protagonisti giovani e meno giovani che, più che Colleghi, vanno definiti Amici. Per tutti il compiacimento di esserci arricchiti di storia e di cultura in luoghi degni di essere visitati e ricordati.